La Vetrina
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16.

 

Anche Giacomo LEOPARDI riscrive dall’aldilà una poesia per LUI …

A Silvia (1828)

A Silvio (2005)

Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?

Sonavan le quiete
stanze, e le vie dintorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all’opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno.

Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d’in su i veroni del paterno o stello
orge a gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie d’orate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch’io sentiva in seno.

Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando so vieni di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti? Perché di tanto
inganni i figli tuoi?

Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta ,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi;
né teco le compagne ai dì festivi
ragionavan d’amore.

Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro e fati
La giovinezza. Ahi come,come passata sei,
cara compagna dell’età mia nova,
mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? Questi
I diletti, l’amor, dell’opre, gli eventi
onde cotanto ragioniamo insieme?
Questa sorte dell’umane genti?
All’apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba igniuda
mostravi di lontano.

Silvio, rimembri ancora
quel tempo della tua vita iniziale
quando il contante fluiva
nei conti tuoi cifrati e inavvertiti
e tu, lieto e colluso, dal limitare
di legalità uscivi?

T'amavan l'elvetiche
banche, e i tuoi seguaci attorno,
pel tuo perpetuo versamento,
allor che all'opre televisive intento
svelavi assai contento al Gran Maestro
di quel chiaro avvenir che in mente avevi.
Eran gli anni Ottanta: e tu solevi
sì il governo comperare.

Gli studi leggiadri legali
Talor lasciando con le mazzette adatte
che nella repubblica prima
con grand'arte si spandean lievi
e dai cassetti del paterno banco
porgean gli assegni al suon della tua voce
alla laida man veloce
che li infilava nella capiente tela.
Miravi all'etere intero,
alle ville dorate come i tuoi corrotti,
e quinci al Governo da lungi, e quindi al Colle.
Lingua mortal non dice
come fondasti l' impero.

Che stallieri trovavi,
che alleanze ai tuoi albori, o Silvio reo!
Quale allor t'appari'a distante
La ventura di essere imputato!
Quando ti sovvien di cotanta speme
un affetto ti prende
furioso e spudorato
e ti preme d'abolir Magistratura.
O Procura, o Procura!
perché non lasci poi
ch'ella faccia ciò che deve?
Perché cotanto impegni I fidi togati tuoi?

Tu pria ch'egli inaridisse i cerebri
da tutti incoraggiata e spinta,
t'illudevi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli schermi suoi,
aggredirti al core.
Le dolci lodi del padan cialtrone
e dei fascisti nostalgici e corrivi;
ne' teco i Compagni un di' più vivi,
ragionavan d'amore.

Cupo vedo perir fra poco
La libertà ch'e' dolce. Pochi anni e poi,
negheranno i suoi la democrazia.
Ahi come, come passata sei,
cara compagna dell'Italia mia,
ora illacrimata speme!
Questo e' quel mondo? Questi
gl'impegni promessi ai dementi,
onde firmasti un contratto d'assieme?
Questa la sorte delle italiche genti?
All'apparir del vero
caddero tutt'i pretesti; mentre
con Mafia, Lega e Fascio in mano
l'Italia intera in una tomba ignuda
porterai sì lontano.

 

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