La Vetrina
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7.

abczvu

Da un nostro lettore (Fausto Gliozzi)abbiamo ricevuto nel gennaio 2004 - e volentieri pubblichiamo - due composizioni nelle quali compaiono in ordine e in entrambi i sensi tutto l'alfabeto, cercando di usare il minor numero possibile di vocali ausiliarie.
Adescatore per conto
di una donna amante delle femmine
(A baci due fighe io le meno poi qui ai rosei tuoi vizi.)
 
Lamentasi l’Alighieri sulla spalla della sorella del padre,
incompreso e solo per l’indifferenza della Portinari
(Zia, vuote sere. Qui poi un male io ho già: «Fu? È?» dice Bea.)
 

 

8.

Una Bovary piacentina

Sempre dal nostro lettore (Fausto Gliozzi) riceviamo - e volentieri pubblichiamo - una tragedia bidialettale in due battute palindromiche gemelle dal titolo "Una Bovary piacentina".  Prendendo spunto dalle tragedie in due battute di Achille Campanile e  alla fine c'è anche una spiegazione a beneficio di coloro che non conoscono il dialetto piacentino e il napoletano.
Una Bovary piacentina
Tragedia bidialettale in due battute palindromiche gemelle

Personaggi

Emma, piacente e giovanile signora della media borghesia piacentina

Gennaro, giovane pizzaiolo napoletano emigrato al nord

Giacomo, impiegato della motorizzazione e marito di Emma

Venditori ambulanti, acquirenti, passanti, mendicanti, un cieco con il cane, una cieca con due cani, un cane con sei ciechi, una vigilessa, due muratori marocchini, una clandestina ucraina, il vicesindaco di Gariga

Scena: Piacenza

Scena prima

L’azione si svolge di mercoledì mattina nella piazza del duomo di Piacenza, dove ha luogo il mercato.

Emma indugia fra le numerose bancarelle e scavando fra le montagne di indumenti, di quando in quando sceglie i capi che le sembrano più interessanti. Poi li prova stendendoseli davanti e ammirandosi negli specchi che i servizievoli venditori, a turno, le mettono a disposizione.

Nel suo vagare Emma perde la patente, che le cade accidentalmente dalla borsa. Passa in quel momento Gennaro che sta cercando dei pacchi di calzini in offerta. Trova il documento, guarda la fotografia, legge il nominativo (si vedono le sue labbra sillabare il nome Emma) e si guarda intorno. La riconosce e le porge il documento. Emma sorridendo ringrazia con un cenno del capo, ma ha in mano un abito che le fa gola e si volta verso lo specchio per vedere come le sta. Gennaro in piedi dietro di lei ne guarda il riflesso. Gli sguardi si catturano, ma Emma si sottrae e scompare fra le bancarelle. Si sfiorano in varie occasioni senza accorgersi l’uno dell’altra. A più riprese imboccano percorsi diversi, come sfuggendosi a vicenda, ma sempre tornano a incontrarsi e gli sguardi si fanno più e più ardenti.

Emma rimane momentaneamente isolata dalla folla. Gennaro ne approfitta e le si avvicina.

Gennaro (bisbigliando): Emma, iàmme!

Emma lo guarda languida e lo segue. Emma e Gennaro escono.

 

 

Scena seconda

L’azione prosegue nella casa di Emma. Emma e Gennaro sono stesi sul letto e si coccolano dopo l’amplesso. Le lenzuola sono in disordine e coprono in modo approssimativo i corpi seminudi. Per terra intorno al letto sono sparsi gli indumenti intimi dei due.

Improvvisamente si sente il rumore di una chiave che gira nella serratura e si apre la porta dell’ingresso. Entra Giacomo. Emma e Gennaro, impegnati come sono nelle loro faccende, non lo sentono arrivare e continuano a sbaciucchiarsi come se niente fosse.

Giacomo comincia a cercare qualcosa in mezzo alle carte ammucchiate su un tavolino. Ogni tanto, con aria speranzosa, si infila le mani nelle tasche dei calzoni, della giacca e del cappotto, estraendone tutto il contenuto e crollando ogni volta il capo deluso. Si asciuga anche la fronte con un fazzoletto, poi riprende la sua ricerca per la stanza.

Nel frattempo i due amanti, ignari della presenza di un intruso, ricominciano a strofinarsi con più vigore. A Emma sfugge un lungo gemito.

Giacomo rizza le orecchie, si guarda intorno, poi, seguendo l’origine del suono, si affaccia alla porta della camera e vede Emma e Gennaro avvinghiati sul letto. Per la sorpresa gli cadono in terra le carte che ha in mano e rimane a bocca spalancata.

I due amanti disturbati dal rumore interrompono la cavalcata e lo guardano sbalorditi.

Giacomo (con voce rotta) Emma, iammè!!!

Cala la tela

 

Lo iammè come categoria dello spirito (nota esplicativa dell'autore)

Attualmente, vista la grande diffusione del vernacolo napoletano, è improbabile che esista ancora qualcuno che non sia a conoscenza del significato del termine iàmme o jàmme, tuttavia vogliamo pensare anche ai più sprovveduti e diciamo subito che la parola in questione significa "andiamo", aggiungendo che a chi vuole approfondire la questione si consiglia vivamente la lettura ad alta voce della canzone Funiculì Funiculà.

Al contrario il lemma iammè o jammè, che dir si voglia, è conosciuto solo nella ristretta area del Piacentino e forse in qualche sua propaggine.

Il significato letterario di questa espressione è abbastanza intuitivo. Si tratta di una esclamazione traducibile in italiano con ahimè!, ohimè!, mio dio!, oh dio!, mamma mia! e così via. Al nord può essere reso con oh signur!, ossignur!, eccetera. Interessanti per l’affinità con iammè sono le espressioni uimmèna, tipica nell’area labronica, e marammè, frequente sul territorio partenopeo e nelle zone limitrofe. Tuttavia in tutto mezzogiorno, possiamo trovare una vasta gamma di esclamazioni, dal lineare maronna! napoletano al focu meu!, o anche focu!, assai diffuso nell’Ardorese in provincia di Reggio Calabria e pronunciato a bocca piena, mordendo con violenza il dito indice della mano destra orientato parallelamente al senso delle labbra.

Piuttosto diffusa è la variante ommaiammè, che pur mantenendo il medesimo significato ne enfatizza l’espressività, aggiungendo quel piccolo tocco di disperazione che non guasta.

È doveroso un approfondimento in merito a una certa componente spirituale dello iammè che cerchiamo di riassumere nella classificazione che segue.

Oltre allo iammè semplice con cui ogni buona mamma o nonna piacentina arricchisce i propri discorsi, è bene ricordare il ben più corposo iammè da tragedia, rigorosamente urlato con la voce che si rompe fra la a e la prima m, sfoggiato normalmente in occasione di spettacoli particolarmente raccapriccianti, come per esempio un bambino che cammina con una benda sugli occhi su un cornicione al decimo piano, e il più riposante iammè di rassicurazione, con cui ci si consola di uno scampato pericolo.

Per una corretta classificazione dello iammè è di estrema importanza l’intonazione della voce e a tale scopo è in fase di elaborazione un nuovo metodo di scrittura che verosimilmente entrerà in uso nei prossimi anni.

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